giudizio artistico: ECCEZIONALE
giudizio tecnico: BUONO-OTTIMO
The Who: il miglior rock della storia del Rock, è stato detto.
Live at Leeds è uno dei grandi classici della storia del Rock.
Fotografa gli Who in un momento eccezionale. Nel 1970 gli Who
sono in piena temperie creativa ed energetica, hanno passato la loro
fase beat, hanno recepito gli influssi psichedelici, (con un primo
lavoro tematico, Sell Out, peraltro notevole), hanno introdotto nei
loro testi la satira e l'ironia verso la massificazione dell'uomo medio,
a braccetto con Ray Davies dei Kinks, e nel '69 hanno dato alle stampe
quella che è tradizionalmente considerata (anche se, come noto,
non è corretto: sono i Kinks a meritare questo primato) la prima
opera rock: Tommy. Dopo i concerti di quell'anno pubblicheranno
il loro migliore LP di sempre: Who's Next e poi ancora il capolavoro
doppio Quadrophenia. Successivamente, dopo una bella
raccolta di B-sides e inediti - Odds and Sods - si avvieranno a un
lento ma dignitoso declino, funestato, nel 1978, dalla morte a 32
anni - per overdose, ubriaco, di pasticche contro la dipendenza da
alcol - dell'immaginifico batterista Keith Moon. Attualmente degli
Who - che hanno continuato fare concerti e sporadiche registrazioni
in studio - sono rimasti in due, Townshend e Daltrey, in quanto
anche il bassista, Entwistle, se n'è andato nel 2002.
«Vedere gli Who dal vivo alla fine degli anni '60 era la più grande
esperienza live che il rock potesse offrire al mondo,» ha scritto
Chris Charlesworth. E c'è da credergli. Nel '67, con uno show
violento e trascinante, furono tra i trionfatori del Monterey Pop
Festival, dove conquistarono anche gli americani. Nello stesso 1970,
dopo un concerto americano, si congratulò con loro nientemeno
che Leonard Bernstein.
Peraltro proprio di testimonianze dal vivo gli Who (destino che
accomuna i grandi, basti pensare anche a Stones e Beatles) per
anni non ne abbiamo avute di pienamente soddisfacenti. Live at
Leeds era un 33 singolo, sono all'apice della forma ma ancora non
hanno pubblicato Who's Next e Quadrophenia, e comunque è pieno
di cover. Successivamente il doppio dal vivo dell'83 - seppure
contiene tutti i più grandi hits - arriva troppo tardi e coglie gli Who,
con il sostituto di Moon, in un momento di stanca e peraltro l'esecuzione
data alle stampe vede un Daltrey terribilmente giù di voce.
Bisognava accontentarsi, oltre al disco qui recensito, dei pezzi dal
vivo contenuti nello splendido doppio semiantologico The Kids Are
Alright (peraltro falcidiati nella versione digitale, uscita inopinatamente
su CD singolo). Solo negli anni 90, persa ogni speranza, sono arrivate
altre due bellissime doppie testimonianze dal vivo. La prima,
Join Together, nel '90, come frutto della prima reunion, quella del
venticinquennale, album che, nonostante ormai lontano anni luce
dal periodo storico e quindi privo di valore come 'documento',
conteneva di gran lunga la migliore scaletta fino ad allora di ogni
live degli Who (c'è Tommy intero), un'ottima performance e, soprattutto,
una buonissima registrazione. La seconda, nel 1996, è stata,
finalmente, la pubblicazione del Live at the Isle of Wight Festival
1970, che conferma l'incredibile livello delle performance di quell'anno
magico.
Prendiamo dunque questo Live at Leeds anche come una rara e
importante testimonianza storica.
Questo LP da 150 grammi rappresenta l'esatta riedizione dell'LP
originale britannico: Track 2406 001 (negli stati Uniti uscì come Decca).
Anche il packaging - ideato in maniera che sembrasse un bootleg -
è lo stesso: un color carta da pacco senza alcuna scritta, dentro e
fuori, solo un timbro con autore e titolo e un avvertimento: gli
scricchiolii non dipendono dal vostro impianto. Arricchisce questa
edizione una serie di foto e riproduzioni di scritti e documenti
dell'epoca. 6 brani. Nella prima facciata, accanto a un'energica e
tiratissima versione di Substitute, singolo del 1966, compaiono tre
frastornanti cover: Young Man Blues (Mose Allison), Summertime
Blues (Cochran/Capeheart) Shaking All Over (Johnny Kidd and the
Pirates): le formule r'n'r dei '50 e la sintassi blues, rivisitate secondo
i consueti moduli del beat inglese e del r&b, sono virate verso
pure atmosfere hard rock: non solo si prosegue il discorso già di
Beatles, Stones e poi Cream, ma si segna chiaramente la strada a
Led Zeppelin , Deep Purple e Black Sabbath.
Sul lato B solo due brani: due torrenziali versioni My Generation
e Magic Bus, irresistibile pezzo dal caratteristico ritmo sincopato,
che Townshend voleva sempre eseguire perché gli permetteva di
suonare la chitarra alla Bo Diddley, mentre era odiato da Entwistle,
che rimaneva ancorato a una linea di basso piuttosto priva di possibilità,
e tollerato da Moon che si divertiva comunque.
Il numero di brani pubblicati è stato poi ampliato nelle edizioni
in cd, a comprenderne molti altri dell'intera scaletta originale:
Heaven and Hell, I Can't Explain, Fortune Teller, Tatto, Happy Jack,
I'm A Boy, A Quick One, Amazing Journey/Sparks.
Il fulcro dell'LP è senz'altro il lungo medley di My Generation, l'inno
generazionale MOD del '65. Qui il pezzo parte in maniera tradizionale
(altre volte diventa un lento medley blues) ma la melodia
originale viene presto piegata a lunghe sequenze improvvisative,
contenenti ampi estratti da Tommy, blues scatenati, assoli di basso,
batteria e chitarra - in cui Townshend sembra duettare con la
propria stessa eco rimbalzata dalle pareti della sala - e punteggiate
da momenti quieti, con suggestivi arpeggi delle corde, e da lunghe
accelerazioni elettriche, in cui sono lucidamente anticipate le sonorità
degli anni 70 (in questo Live at Leeds è esemplare assieme a
pochi altri, come Abbey Road, Sticky Fingers, Electric Ladyland, dove
autori dei '60 sembrano letteralmente 'passare il testimone' a Led
Zeppelin, Deep Purple, King Crimson, ecc. per il decennio successivo).
A un certo punto ricompare il più bel tema di Tommy (See
me, Feel Me) a segnare un suggestivo contrasto tra le armonie
spartane del primo successo degli Who e il più organico discorso
musicale della rock-opera. Ci sono vari falsi finali del medley in cui
Townshend rallenta e silenzia la band solo prima di perdersi in territori
lirici solistici inesplorati, apparentemente a concludere il brano,
in realtà, sfoderando riff sempre diversi che sono entrati nell'ABC
del Rock, per ripartire e accelerare ancora una volta.
Live at Leeds è dunque un disco emblematico sotto molti punti
di vista.
In esso troviamo squadernate al massimo livello espressivo tutte
le più famose caratteristiche degli Who: il chitarrismo di Townshend,
sapiente ritmico e arrangiatore e ottimo, sapido solista, la
sezione ritmica di Moon/Entwistle, considerata la migliore dell'epoca,
capaci di coniugare punch roccioso e ossessivo con il continuo
uso di scale e rullate, la prima concezione di batteria e basso
- prima dei Cream - come strumenti solisti (Moon non aveva una
tecnica eccelsa, ma la sua istintività - si dice consumasse due set
di bacchette a settimana - e la sua creatività gli hanno dato uno
stile unico ed inimitabile: eseguiva fills fuori dal comune e, spesso,
non suonava un groove lineare, caratteristica tipica del successivo
prog) l'uso massiccio del feedback (furono a primi a considerarlo
e usarlo come suono e non come rumore), i complessi impasti vocali
e gli irresistibili cori, la presenza e le grandi capacità vocali e interpretative
di Daltrey.
In Live at Leeds tutte le somiglianze, i richiami, i prestiti e le
influenze del 'suono Who' nel grande fenomeno Rock sono evidenti:
chiarissimi i legami - già detti - con Beatles, Stones, Pretty Things
e Kinks, palese quanto i Cream, e poi latriade del primo hard rock, gli siano tributari
e, dall'altra parte dell'oceano, il gioco di rimandi con i Jefferson, i Quicksilver, gli
Allman Brothers Band, Hendrix. Live at Leeds fu pubblicato il 16 maggio negli
stati Uniti, il 23 in Gran Bretagna. Raggiunse il quarto posto in classifica negli USA, il terzo
nel Regno Unito. Semplicemente, questo è il Rock, signori. E tutto il resto è Rock se gli somiglia.
giudizio tecnico La prima registrazione che ebbi di Live at Leeds fu su cassetta, di un compagno, tuttora amico, della quarta ginnasio. Suonava malissimo. Poi iniziai a comprare. Posseggo una
ristampa Polydor dell'LP originale, acquistata da adolescente, che suonava così così e
ricordo come suonava la prima edizione digitale: alle solite, davvero un disastro, come sempre per le prime riedizioni in cd. Le cose andavano nettamente meglio con l'edizione
in cd del venticinquesimo anniversario, rimasterizzata, bene, in digitale.
E, decisamente, ancora meglio vanno con questa riedizione in vinile da 150 grammi
dell'LP originale. Qualcosa di buono nelle tracce originali doveva esserci e i tecnici di
questa edizione l'hanno saputa tirare fuori. Il compito era difficile: si trattava di trasporre
in una edizione audiophile tracce appartenenti al meno audiophile dei generi musicali, il
Rock, riprese nelle condizioni in cui il Rock ha sempre dato il peggio, dal vivo, e in una
lontana epoca in cui queste attenzioni nella musica pop erano pressoché sconosciute, e
gli stessi mezzi tecnici di uno studio mobile inadeguati.
Ebbene questa trasposizione è ben riuscita, da far quasi gridare al miracolo. Voglio dare
un 4 di incoraggiamento alla dinamica – una cui cattiva riuscita avrebbe semplicemente vanificato
gran parte della possibilità di rendere il Live Act degli Who - che è ben presente,
se consideriamo appunto di che registrazione si tratta e come suonano le altre versioni. Ha poco senso parlare di microdinamica, tuttavia i pianissimo e le accelerazioni, in particolare dell'immaginifico lato B, sono rese al meglio delle possibilità, e non le avevo
mai sentite così. La scena appare discontinua, evidentemente nel missaggio originale,
se non nella ripresa, fu seguita più di una strada. Gli strumenti sono un poco inscatolati
e in particolare le corde provengono spesso dai diffusori, tuttavia un abbozzo di
scena spesso c'è, con una discreta ricostruzione prospettica: le corde ai lati, con il
basso arretrato e decentrato, il cantante al centro e il batterista dietro di lui. La timbrica, l'estensione di gamma e il bilanciamento tonale di tutta l'incisione sono davvero più che buoni. In molti momenti c'è un discreto dettaglio. Nei momenti peggiori,
nei pieni, i suoni appaiono abbastanza confusi, 'affogati' e riverberanti. Tuttavia la chitarra
di Townshend e la batteria di Moon sono globalmente ben rese: quelli con più dinamica, timbrica più veridica, buona matericità.
Davvero nitida e materica la batteria di Moon, estremamente espressiva con la sua
notevole consistenza ed estensione (fu tra i primi a usare la doppia cassa), le sue rullate
continue, che sembra quasi appartenere a una incisione di categoria superiore. Un po' sottotono,
come vivacità e intensità, il basso di Entwistle e la voce di Daltrey che, pur apparendo
nello spazio chiaramente davanti a tutti e alla batteria in particolare, è scarsamente
presente e risonante, sembra sempre venire 'da lontano'. Godibili l'ambienza, gli
echi, il sottofondo del pubblico. Vale la pena ascoltare Live at Leeds su LP
da 150 grammi? Beh, senz'altro. E poi, parliamoci chiaro: se facessimo
sentire questo LP a qualcuno che c'è stato, ci potrebbe confermare che il service degli
Who - a parte la potenza (ma non è così per quasi tutti i concerti rock?) - quel giorno
a Leeds si sentiva molto peggio. Massimiliano Bondanini